mercoledì 27 luglio 2011

Il termometro della felicità

Non mi ricordo se è una cosa sentita da mia mamma o una di quelle leggi universali della saggezza popolare che non sai come, quando e chi te le abbia insegnate.
Sta di fatto che è vero: Quando una persona canta, vuol dire che in quel momento è felice.
E’ vero, esistono anche le canzoni malinconiche, ma a pensarci bene quelle le canta solo un musicista di professione, abituato ad esprimere tutti i suoi sentimenti in musica.
Invece noi gente normale cantiamo solo quando siamo contenti e visto che dopo gli otto anni cantare da soli a voce alta è reputato imbarazzante, lo facciamo solo (purtroppo dico io) quando siamo totalmente soli o se il cuore ci trabocca talmente di gioia che non ci resta altro da fare che cantare.
Cantare è un’attività normale nei bambini e per loro è sempre un’esternazione di gioia, limpida, immotivata, traboccante.
Vedo il mio bimbo, che ha talmente voglia di cantare che non sta nella pelle di riuscire a imparare a parlare bene per poter darsi completamente alla gioia del canto!
In questa fase non c’è proposta più allettante per lui del “cantiamo una canzone?”.
Gli piace che io canti di modo che possa pronunciare le parole che lui non sa dandogli l’impressione di cantare tutto il testo dall’inizio alla fine. Per non dire che è una di quelle attività belle di per sé ma che sono ancora più belle se fatte insieme.
Che dire, cantare è proprio il termometro della felicità e questo spiega perché i bambini cantino sempre.

lunedì 16 maggio 2011

La brava mamma

Ammetto di soffrire di una sindrome abbastanza diffusa: quella della secchiona o prima della classe che dir si voglia.
Sono una di quelli persone che a scuola amava vedere dei bei voti sui compiti in classe e sulle pagelle, con il pilota automatico nella competizione sportiva e in vari altri campi della vita.
Purtroppo mi accorgo che questa tendenza emerge anche rispetto al mio ruolo di mamma.
Non mi piace ammetterlo ma per me è importante risultare di fronte agli altri, ai miei genitori in particolare, come una buona madre.
Si tratta di un’ ammissione difficile perché da una parte sento che non ci sia nulla da dimostrare, dall’altra mi sento come se la mia attività di mamma sia oggetto di valutazione.

Ma una brava mamma cos’è?
Al di là delle idee sulla cura ed educazione del bambino che possono essere le più disparate, lontane o vicine alle mie – una mamma è pur sempre una brava se ama e si comporta amorevolmente con i propri figli, cercando di agire sempre nel loro interesse.
Da questo punto di vista, ogni mamma, con i suoi punti di forza e le sue debolezza è una brava mamma.

Nello stesso tempo, il tentativo di dimostrare a se’ stessi e agli altri di essere brava in realtà è in contrasto con l’idea di agire nell’interesse del bambino.

Ancora una volta l’essere mamma mi pone di fronte ai miei limiti e mi offre degli spunti di riflessione per superarli.

mercoledì 4 maggio 2011

Il fattore “Papà”

Una persona tanto importante quanto dimenticata quando si parla di mamme e bambini è spesso il papà.

Sebbene ormai non sia più così raro vedere dei papà bravi quanto - se non più - delle mamme nell’accudire i loro bambini, spesso si tende ad escludere di parlare del loro ruolo.
Io posso dire di essere fortunata con mio marito che è una persona sensibile e che cerca di prodigarsi per quanto può per il nostro bimbo.

Devo ammettere nonostante lo sforzo di essere il più interscambiabili possibile (cioè essere in grado di svolgere le stesse funzioni della mamma) i papà purtroppo partono con lo svantaggio - ahimé incolmabile - di non aver portato dentro il bimbo, di non averlo potuto allattare e quindi di non aver vissuto quel legame unico che la mamma conosce*.

Nella mia esperienza ho notato anche che è bene spiegare sempre durante la gravidanza – e  anche dopo - le nostre sensazioni, paure, etc.. perchè per quanto il papà (ma lo stesso di potrebbe dire di qualsiasi altra persona) cerchi di starci vicino non gli è possibile capire pienamente la nostra situazione per cui è sempre meglio esplicitarla.
Inoltre a volte capita che se il bambino passa più tempo con la mamma, il papà faccia più fatica a riconoscere le esigenze del piccolo.
Attenzione! non sto dicendo che l’uomo sia meno bravo, dico solo che l’uomo ha un approccio diverso e ritengo che questa diversità sia utile allo sviluppo del bambino perché è complementare e tende ad equilibrare quello della mamma.
Inoltre come dicevo nell'ultimo post, ci sono momenti in cui l'aiuto dei papà rende alcuni momenti (nel mio esempio quello di staccare il bimbo dal seno) davvero prezioso.

Grande o piccolo che sia, è importante lo sforzo che i papà compiono per venire in aiuto a noi mamme e non c’è niente che mi riempia più di gioia di vedere il mio bimbo che dice papà! con lo sguardo trasognato indicando la porta dell’ingresso quando lo aspetta la sera che rincasa dal lavoro.

*anche se qui si fa riferimento alle madri biologiche non vorrei escludere del tutto il caso di madri adottive in quanto credono siano in tutto e per tutto uguali a quelle biologiche, rimando però il discorso ad un post successivo. 

martedì 26 aprile 2011

Il momento giusto


Finalmente, dopo quasi 23 mesi di vita e varie esitazioni è arrivato il momento giusto per smettere di allattare.
Prima che il mio bimbo nascesse pensavo che avrei allattato (potendo) solo per i primi 9 mesi, poi visto che il latte vaccino era consigliato a partire dai 12 mesi ho pensato di staccarlo intorno all’anno.
Ma tutte queste belle intenzioni sono state sempre rimandate causa inizio del nido e nuova routine, causa malattia che lo rendeva inappetente e si nutriva solo di latte… ma soprattutto con il senno di poi mi rendo conto che erano tutte scuse perché a non essere pronta ero io e non lui.
Per la prima volta questo weekend attaccarlo al seno mi è sembrata una fatica, come se mi sentissi togliere le forze insieme al latte e ho capito che sebbene il latte ci sia ancora  non riesco più a sostenere (almeno come una volta) l’impegno dell’allattamento che in quasi due anni mai mi sarei immaginata di etichettare come sforzo.
E così ho staccato il mio bimbo che ovviamente si è messo a piangere disperato e non appena ha rallentato un po’ il pianto gli ho spiegato che mamma non ce la fa più, che ormai lui è grande e deve imparare a fare a meno del latte, mentre l’amore e le coccole della mamma restano sempre uguali.
Lui mi ha guardato un po’ tra gli ultimi singhiozzi e poi si è addormentato beato.
Se durante il giorno comunque il latte non me lo richiedeva più, le prime due notti sono state abbastanza impegnative, per fortuna che ho avuto l’aiuto di mio marito che se si è fatto carico di trovargli delle alternative e senza il quale sarebbe stato molto più difficile staccarlo.
Vedo che ora sta prendendo bene la cosa e la nuova situazione e ancora una volta mi stupisco delle meravigliose capacità dei bambini che purtroppo crescendo perdiamo. Mi rendo conto che per loro è molto più semplice abbandonare un’abitudine (per quanto radicata) semplicemente capendo che ormai la mamma ha deciso o meglio si è arresa all’evidenza che il momento è arrivato.

mercoledì 13 aprile 2011

Un esercizio di “Accettazione”

Qualche giorno fa, di fronte ad una conoscente incinta della seconda bimba, mi sono scoperta invidiosa, sia della seconda “pancia” che del fatto che stesse aspettando una femminuccia.
Devo ammettere che prima di restare incinta mi immaginavo (e auguravo) di avere una bambina e quando ho scoperto di aspettare un maschietto sono rimasta un po’ delusa… un po’ delusa come mi è successo al momento del parto in cui sono stata costretta al cesareo invece del parto naturale.
Per questi motivi, dentro di me coltivavo il desiderio di una seconda gravidanza, quasi per avere una seconda possibilità di riuscire a realizzare quello che in un certo senso mi ero prefissata.
L’aver sentito questa sensazione di invidia mi ha fatto riflettere.
Questa sensazione è emersa perché probabilmente dentro di me non ho accettato completamente come sono andate le cose e il pensiero seguente è stato che forse, le cose sono andate diversamente da quanto mi aspettassi proprio per insegnarmi ad accettare.
Finora devo dire che sono stata molto fortunata in tutti i campi della mia vita e sono sempre riuscita a raggiungere i miei obiettivi, da un lato è bello vedere che con l’impegno e la concentrazione si raggiungono le proprie mete, dall’altro però questo mi ha portato a pensare che tutto nella vita potesse essere in qualche modo programmato.
La gravidanza e la maternità però sfuggono a questa logica.
Per quanto possano essere programmate (e non è stato il mio caso) e monitorate c’è sempre qualcosa che sfugge per cui si rivela sempre un momento importante di attesa (come detto in un post precedente) e di accettazione.
Del resto guardando alle cose importanti, cesareo o naturale, ciò che conta è che il mio bimbo sia nato senza problemi, maschio o femmina che è sano e che sicuramente lo amo nello stesso modo in cui avrei amato una bambina. Sembrano le solite frasi scontate ma oltre a me, quante volte anch’io ho sentito di coppie che cercavano il maschio o la femmina.
Non che ci sia nulla di male in ciò, è solo importante ogni tanto di fronte a queste emozioni fermarsi a riflettere sul loro significato: non accettiamo la casualità, vorremmo un maschio/femmina per in un certo senso riparare a quello che non ci piaceva da “figli” nel rapporto con i nostri genitori,...
Inoltre il fatto di non accettare in un certo senso toglie valore ai momenti della nostra vita. Più accettiamo quello che ci succede più  valore riconosciamo alla nostra esistenza, più lo rinneghiamo e meno preziosa ci sembra la nostra vita.
Anche in questo caso è possibile imparare molte cose di noi stessi che difficilmente avremmo occasione di notare e anche per questo la maternità è un’occasione speciale per la nostra crescita interiore.

mercoledì 16 marzo 2011

10 cose per cui vale la pena di vivere

Ho appena letto l'invito di Saviano ai suoi lettori a scrivere una lista delle 10 cose per cui vale la pena di vivere. 
Mi è sembrato un bell'esercizio per cui ho partecipato volentieri e ho pensato fosse carino pubblicarlo anche qui anche perché nello scriverla mi sono accorta che scegliere "solo" 10 ragioni è (fortunatamente!) molto difficile e che gran parte delle cose che mi sono venute in mente riguardano il mio piccolino.


1. Trovare il coraggio di mollare quello che non va (anche se radicato nella nostra routine) e ricominciare da capo
2. Il mio bimbo di 21 mesi che puntuale alle 18.30 va vicino alla porta dell’ingresso e con occhi sognanti dice “Papà!”
3. Parlare con mio fratello di vita e spiritualità e “illuminarci” a vicenda con le intuizioni dell’uno e dell’altra
4. Abbracciare mio marito con mio figlio in braccio e stare stretti così
5. Mettere “Last Train to London” e ballare mimando le cose più strambe con mio fratello
6. Camminare in una grande città in una sera tranquilla e deserta senza sapere dove stai andando
7. Immergersi nella maestosità della barriera corallina e sentirsi tutt’uno con gli esseri che ti circondano
8. Andare al consultorio pediatrico e scoprire che in qualsiasi etnia, i gesti di tutti bambini, di tutte le mamme e il loro reciproco amore sono uguali
9. L’incursione di Ben Harper al concerto dei Pearl Jam e cantare con lui e Eddie “Under Pressure” a squarciagola
10. Passare una giornata (o quasi) in aereo per andare lontano.

giovedì 3 marzo 2011

Tartaruga – Teletubbies 1-0!

Mi avevano avvisato... alla maledizione dei Teletubbies non si sfugge.
Prima o poi qualcuno, un nonno, uno zio, un amico,... gli farà vedere una puntata dei Teletubbies e da quel momento in poi sarà la fine, vorrà vederli e rivederli allo sfinimento.

In effetti la prima parte della maledizionie si è avverata.
Durante un soggiorno di un mese a casa dei nonni per completare la convalescenza dalle malattie invernali, il mio piccolo si è visto un sacco di tv, tra cui i “famigerati”.
Mi ricordo ancora quella sera che nel tornare dal lavoro l’ho trovato ipnotizzato davanti alla tv con la nonna tutta soddisfatta per aver trovato un programma che gli piaceva.
Al momento sono trasalita, ma ho cercato di dissimulare e stare tranquilla... dopo tutto già curare la piccola peste per tutto il giorno era un impegno altamente sottovalutato dai miei genitori, non potevo anche chiedere loro di non accendergli la tv per tirare un po’ di fiato.

Temevo il giorno in cui saremmo tornati tutti nella nostra casina e il piccolo (come faceva dai nonni) si sarebbe seduto di fronte allo schermo e indicandolo ci avrebbe chiesto di accenderlo... invece, sorpresa!
Torniamo a casa e cosa indica? La radio, dicendo “AA” chenel suo linguaggio significa che vuole sentire la canzone della Tartaruga (che fa proprio Aaa, Aaa!).
E poi vuole montare il trenino e farlo girare sulle rotaie, e poi vuole il librone pop-up del Piccolo Principe per vedere i “Babab”  (baobab!)...

Insomma tutti i miei timori grazie al cielo si sono dissolti!
Sembra quasi che abbia capito che i nonni per tanti motivi potessero offrirgli quando ormai erano stanchi o non avevano idee la tv e che invece a casa c’erano altre cose che lo attiravano di più come la sua musica, il suo trenino, il suo libro preferito e la tv è passata in secondo piano.

Forse crescendo le cose cambieranno, però questo episodio mi dimostra che la tv è solo un’abitudine come un’altra per i bambini e a quanto pare neanche quella preferita visto che ci sono cose che la battono nettamente... e sono tutte quelle cose che può fare insieme a noi come cantare e ballare sulla musica, montare un trenino o leggere un libro.